venerdì 18 novembre 2011

Lanciando l'Avocado

Diverse band di tutto rispetto hanno, all'interno della loro storia, dei "buchi neri". Questi sono album che secondo la critica ma sopprattutto secondo le classifiche di gradimento hanno segnato un'involuzione della propria carriera musicale. Album dimenticati anche dai fans tiepidi e dai cultori di goni genere. Raccolte di pezzi che se nominate ricevono come risposta una smorfia o una stortura di naso. Mi viene in mente "Zooropa" degli irlandesi U2, un album decisamente prog e sperimentale rispetto alle sonorità conosciute di Bono Vox e compagnia. Oppure, tanto per citarne un altro, "Animals" dei Pink Floyd; tutti conoscono "The Wall" e "The Dark Side of The Moon" (ma conoscete "The Dub Side of the Moon" - Easy Star all Stars?) ma quell'album col maiale che vola soprauna fabbrica londinese proprio è rimasto un po' nella nebbia. Peccato dico io! Si tratta di due album eccezionali nei suoni e nei pezzi: "Lemon", Numb" e "Stay" per il primo; "Pigs on the wings" e "Sheep" per "Animals" dove compare l'uso del magico "Talk box".

Se veniamo alla dimensione grunge, e più precisamente al cangiante modno Pearl Jam compare trai celeberrimi "Ten" e "Backspacer" un albumetto dalla copertina astratta che porta lo scontato nome della band: "Pearl Jam".
Si tratta di un lavoro che è passato inosservato per molti musico-assidui, poche critiche e commenti, definitio come un album ignavo da molti. Fatto sta che è l'album che ha preceduto l'ultima vera tournèe dei PJ in Italy.
"Pearl Jam", detto l'Avocado da alcuni è un lavoro aggiunto, una pietra preziosa nascosta, rivelazione per pochi. Partiamo dall'unica nota negativa (a mio parere) che è "Parachutes": pezzo che le mie orecchie hanno sempre faticato ad ascoltare e che le mie dita hanno condannato quasi sempre al "FFWD" del mio IPod. Per il resto Avocado è un album da bastone e carota, potente e docile, che bastona e che emoziona.
Partenza arrembante con "Life Wasted", "World Wide Suicide" (Singolo in Italia) e "Comatose", tre pezzi mitragliati e spacca timpani. Si parla di vita, si parla di crisi, si parla di umanità e contrddizione.
Si rallenta apparentemente con "Severed Hand". Intro eterea e continuo carico. Questo pezzo lascia spazio al cuore dell'album: "Marker in the sand", "Parachutes", "Unemployable", "Big Wave" e "Gone" che arresta decisamente il climax dei pezzi precedenti. "Wasted reprise" è una piccola traccia fantasma messa però in mezzo alla raccolta quasi a evidenziare e richiamare a circolo l'inizio dell'album. Segue "Army reserve" che ricorda vagamente la cara vecchia "Brother". Ma il bello viene ora, lasciato alla fine del lavoro: "Come back". Un pezzo memorabile, una ballata da vecchi tempi carica di nostalgia e sentimento. In questo i PJ non hanno mai tradito i loro ascoltatori; i suoni e le parole sono un dardo scagliato dritto al cuore: <<Torna, o è solo pioggia che sento attraverso questo tetto aperto>>. Chiude "Inside Job", pezzo lungo e denso. Intro corale dove ogni PJ da un chiaro contributo. Persino le poche note suonate da Boom Gaspar sono potenti e letali. <<Ancora sulle ginocchia ma con la voglia di aggiustare questa mia anima dolorante per rialzarmi un'altra volta.>>

Un album composto forse per le orecchie di pochi... Pochi ma buoni...

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